TRE PUNTI PER INDIVIDUARE UNA PROSPETTIVA


  C'è molta confusione sotto il cielo della sinistra. La tradizione dei cattivi maestri, che perdura ancora oggi e impedisce di vedere chiara la prospettiva, mantiene le sue caratteristiche e confonde la natura dei soggetti che occupano la scena.

  Uno dei punti principali della confusione che caratterizza le posizioni, che si vanno esprimendo da decenni, è la mancanza di un’analisi oggettiva della natura dei soggetti politici che si muovono in Italia dopo la liquidazione del PCI.

  Chi sono questi soggetti, che cosa esprimono e qual è la loro interconnessione?

  Si parla di interconnessione perchè, aldilà della forma politica che assumono, in realtà essi hanno una comune radice sociale e culturale e una sostanziale estraneità al metodo di analisi materialistico che è caratteristico del pensiero comunista.

  Per comprendere appieno la questione dobbiamo rifarci al periodo finale della trasformazione e della liquidazione del PCI. La sua mutazione genetica, avvenuta senza una sostanziale opposizione interna, ha distrutto la base razionale della sua strategia e del suo collegamento con la storia del movimento comunista. Non solo, ma l'autoliquidazione ha messo anche in crisi il rapporto di massa che il partito comunista aveva avuto fin dalla sua origine e quindi a partire dagli anni '90 del secolo scorso si è cominciato a navigare a vista contrariamente a quella che invece era stata la caratteristica dei comunisti e cioè il legame stretto tra strategia politica, movimento reale, analisi teorica.

  Per decenni quindi le nuove generazioni hanno subito il fascino di una cultura che di fatto rimuoveva il passato e creava un modello della rappresentazione della lotta politica e di classe che non aveva un collegamento vero con la dinamica delle contraddizioni reali e con un'interpretazione materialistica riconducibile al metodo comunista.

  Chi erano (e chi sono ancora) i protagonisti di questo 'rinnovamento' ?

  Se andiamo a vedere le cose da vicino è possibile constatare che, se è vero che la storia dell'opposizione non si è fermata con la liquidazione del PCI, sulla scena hanno preso corpo due forme di opposizione nuova che si sono sostituite a quella comunista: l'opposizione istituzionale-parlamentaristica di una sinistra democratica, spesso anticomunista e il radicalismo minoritario di una piccola borghesia, principalmente erede del '68, in cerca di protagonismo politico variamente definito e che continua ad esprimersi in veste di mosca cocchiera illudendosi di cavalcare le contraddizioni politiche e sociali.

  In questo contesto rientra anche la storia dei 'comunismi' italiani che hanno avuto le stesse caratteristiche del radicalismo, di cui rappresentavano la parte ideologica, dalla Rifondazione di Cossutta e Bertinotti, all'esperienza di Diliberto e di Ferrero, alle più recenti versioni identitarie di Rizzo e Alboresi. L'uso della falce e martello non ha modificato la qualità della rappresentazione. Il ceppo è stato sempre lo stesso anche se le articolazioni sono state diverse.

  Per noi è importante dunque che compagni e compagne, quando si accingono a discutere di ripresa, riescano ad avere chiara la storia politica di questi decenni e rica­var­ne le conseguenze necessarie, evitando le illusioni ottiche che hanno deformato lo sce­na.

  Per procedere quindi nell'analisi delle questioni che riguardano la ripresa di un progetto comunista, superando lo stallo attuale, bisogna definire almeno tre punti che possono delineare una prospettiva basata su un metodo comunista di interpretazione materialistica della realtà e di definizione teorica delle tendenze che essa esprime. I tre punti che riteniamo essenziali per delineare una prospettiva riguardano:


- la necessità di ricostruzione di una base teorica,
- il rapporto tra progetto comunista e movimento di classe,
- la strategia dei comunisti nella dialettica politica della società italiana.


Innanzitutto, e relativamente al primo punto, la domanda che dobbiamo farci è la seguente: c'è stato un vero dibattito in Italia sulla crisi del movimento comunista che sia riuscito a sviluppare una coscienza collettiva dell'area comunista sul ‘che fare?’ dopo la crisi? I fatti ci dicono in realtà che sostanzialmente le questioni sono state eluse.

  Infatti constatiamo che la storia dei comunisti italiani è stata archiviata, il crollo del socialismo in Europa e in URSS è stato rimosso senza che si entrasse nel merito delle cause che l'hanno determinato e, per quanto riguarda la svolta cinese, si è fatto un copia incolla delle teorie sul socialismo con caratteristiche cinesi senza misurarsi con l'intera questione dell'esperienza storica del movimento comunista e del suo punto di arrivo odierno. Sulla situazione internazionale si è rimasti all’analisi geopolitica della conflittualità senza addentrarsi invece sulle caratteristiche del processo storico che stiamo attraversando e sulla dinamica globale delle contraddizioni e delle tendenze alle trasformazioni dei sistemi sociali nel quadro della lotta antimperialista. L'antimperia­lismo dunque come ideologia.

  Su tutto questo riteniamo invece che ci sia bisogno di discutere, approfondire e riprendere un percorso di produzione teorica che non sia affidato a singoli o a nicchie culturali, ma a una formazione politica comunista che sappia fare dell'analisi marxista e dell'esperienza storica del movimento comunista una base viva di interpretazione dei processi reali e della propria strategia.

  Insomma, per cominciare abbiamo bisogno, in sintesi, di una cultura militante che sia organicamente legata alla necessità della ricerca teorica, rivalutando il concetto di intellettuale organico inserito nel processo politico. Invece, come l'esperienza dimostra, si è fatto prevalentemente uso di un certo mondo culturale per ottenere un surrogato che sopperisca alla necessità di definire l'azione strategica comunista.

  Il lavoro collettivo dei comunisti deve diventare invece un tessuto vivo dentro il progetto politico, secondo il principio leniniano: senza teoria nessuna prospettiva rivoluzionaria è possibile. Spremiamo dunque le meningi e, da ciascuno secondo le sue capacità, abituamoci alle analisi e alla verifica delle ipotesi di lavoro.


  Secondo punto, per una ripresa strategica, è determinante il rapporto tra comunisti e lavoratori. Pensare che si possa ipotizzare la crescita di un'organizzazione comunista al di fuori di un rapporto di massa, sta a significare che uno dei punti essenziali della strategia viene mantenuto dentro una dimensione puramente ideologica. Sappiamo che in questi decenni di crisi si è continuato su questo a pestare l'acqua nel mortaio.

  I motivi sono prevalentemente oggettivi. La frantumazione del tessuto operaio, la precarizzazione del lavoro, l'uso dell'immigrazione, i meccanismi normativi nel controllo della contrattazione sindacale, il ruolo consociativo di CGIL-CISL-UIL hanno ridotto ai minimi termini il protagonismo operaio ed emarginato i lavoratori dal conflitto politico nel paese.

  Se consideriamo il rapporto tra comunisti e lavoratori un punto essenziale della ripresa, il banco di prova è rappresentato dal carattere di classe dell'organizzazione, ma il risultato non è a portata di mano. C'è bisogno di un lungo periodo di sperimentazione che serve a recuperare l'autonomia di classe dei lavoratori, la fiducia nella loro forza e la loro dislocazione nello scontro politico.

  A partire dagli anni '70 i lavoratori hanno tentato una estrema difesa della loro condizione rispetto ai salari, l'occupazione, le condizioni di vita, ma sono stati travolti dallo tsunami della riorganizzazione del sistema di produzione e dal consociativismo di chi ha esercitato il monopolio della contrattazione sindacale.

  La debole esperienza del sindacalismo di base, peraltro condizionato dal clima movimentista in cui era inserito, non ha potuto contrastare l'avanzare di questi processi ed è rimasta di fatto ai margini. L'assenza di un punto di vista comunista sperimentato nell'esperienza concreta delle lotte e della riorganizzazione di classe è stata decisiva nel determinare lo stallo in cui ci troviamo ora.

  Tra il sindacalismo filoconfederale della sinistra e le mosche cocchiere del nuovo confederalismo di base, ai comunisti spetta il compito di ridefinire, nella loro elaborazione strategica, anche il percorso per ristabilire un rapporto solido coi lavoratori. Un compito enorme e complesso che sta ancora tutto di fronte a chi sceglie la via di risalire la china, ma che non si può eludere.


  Sul terzo punto. Probabilmente qualcuno ha pensato che la appropriazione dei simboli storici del PCI potesse suscitare un interesse di massa per la storia gloriosa che rappresentavano, e di essere riuscito, così facendo, a risolvere le questioni connesse alla ricostruzione di un movimento comunista in Italia. Non è andata così e lo si è visto coi risultati da zero virgola delle liste con la falce e il martello. Era solo una stupida e vergognosa illusione di chi rubava la palla per andare in porta senza giocare la partita.

  A parte il giudizio che si può e si deve dare su chi ha tentato l'avventura, la questione su cui ragionare è altra. Dobbiamo prendere atto che la fine del PCI è stata anche la fine di un'egemonia di massa dei comunisti italiani. Quindi, se non si vuole cadere nel messianesimo predicando il socialismo che verrà, ai comunisti di oggi si pone il problema di come muoversi politicamente sapendo di essere una minoranza. Essere minoranza non significa però essere minoritari e Lenin ci insegna appunto questo. E questo riferimento ci deve indurre ad analizzare il rapporto tra leninismo e fase storica relativo all'Italia.

  Che significa questo nel concreto della situazione italiana? La risposta che possiamo dare è che in sostanza i comunisti devono sapersi muovere tenendo conto dei rapporti di forza, del livello di sviluppo delle contraddizioni e avere una tattica che tenga conto della realtà. L'elaborazione di questa tattica, la sua efficacia, misura anche le possibilità di successo dei comunisti stessi e della loro credibilità a livello di massa. Per i comunisti non esiste dunque solo un livello ideologico e strategico da gestire, ma anche la capacità pratica di far marciare un processo di trasformazione utilizzando tutti gli strumenti e le forze in campo per raggiungere gli obiettivi di fase.

  Per entrare nel concreto della situazione odierna, dobbiamo innanzitutto constatare che la scena è occupata a sinistra dai partiti istituzionali di tendenza liberal-democratica che accentrano l'interesse di quel 50% di elettori che sono interessati al voto. Ai comunisti organizzati spetta il compito di valutare come sfruttare le contraddizioni tra quello che viene definito il campo largo e il resto dello schieramento parlamentare e, nella dialettica con la destra, capire gli spazi comuni da utilizzare, ovviamente mantenendo una completa autonomia politica. Autonomia politica non significa però stare fuori dai processi politici. Questo concetto deve essere adeguatamente approfondito per non favorire quella falsa autosufficienza che i comunisti di nicchia sono abituati a sfoderare per vincere le difficoltà politiche.

  Gli stessi problemi esistono rispetto ai movimenti di lotta di carattere politico e sociale. Anche questo è un importante terreno di crescita dell'influenza politica dei comunisti e fa parte dei compiti prioritari.

  A monte di queste questioni di tattica c'è però da valutare la connessione del ruolo della Costituzione italiana nel processo di trasformazione dell'Italia. La svolta istituzionale e politica partita nel 1943 che ha portato alla Costituente e alla Repubblica è avvenuta in un contesto di lotta armata contro il fascismo in cui i comunisti hanno avuto un ruolo determinante, anche se la presenza anglo-americana in Italia ha condizionato lo sviluppo degli avvenimenti. Questo ha fatto in modo che l'intera società italiana sia stata influenzata da questi avvenimenti storici e oggi, nonostante la scomparsa del PCI, essi sopravvivono e non se ne può prescindere. Il richiamo costante alla Costituzione nella battaglia contro la destra e il liberismo e per la pace è diventato il punto di riferimento di milioni di democratici e questo dato va colto e trasformato dai comunisti in un punto di appoggio e di forza per sviluppare un'azione politica che va oltre i confini gestibili nell'immediato da un progetto di ripresa comunista e deve essere portato avanti in parallelo.

  Il Fronte Politico Costituzionale diventa perciò un necessario livello politico di massa su cui aggregare le forze antiliberiste, democratiche, antifasciste e contro la guerra. Non un fronte strumentale, ma una convergenza oggettiva per le battaglie comuni.


  Con questi punti di riferimento intendiamo aprire il dibattito sul ‘che fare? Essi sono anche la base su cui il Forum italiano dei comunisti lavorerà da ora in poi nella speranza che altri compagni e compagne ne condividano l'impostazione e si decidano a rompere con quella versione caricaturale che dei comunismi italiani si è avuta finora.

  Questa operazione la vogliamo intitolare Salerno 2.0 per stabilire quel filo di continuità tra l'esperienza dei comunisti di allora e ciò che ci proponiamo di fare oggi. Questa scelta per noi non è un'improvvisazione, ma una valutazione che ci può permettere di ricomporre quel tessuto storico che, andando alle radici, può costituire la base della ripresa.