QUANDO E COME CAMBIA IL PCI

Schema di ricerca per una discussione
sulla sua trasformazione genetica


1 - Un chiarimento su Salerno
2 - Il 1953 e il cambiamento degli equilibri politici
3 -Il 1956 e i suoi effetti sul PCI
4 - L'VIII Congresso e la “via italiana al socialismo”
5 - La rottura degli equilibri in Italia. Le lotte, il terrorismo, il PCI si fa Stato.
  Berlinguer passa il Rubicone
6 - Perchè è stato possibile liquidare il PCI?


1 - Un chiarimento su Salerno


  Nel considerare la storia del PCI e valutare la sua trasformazione genetica alcuni compagni che si considerano più comunisti degli altri fanno risalire la sua svolta socialdemocratica alla politica di Salerno. Ebbene, siamo costretti a contraddire questa interpretazione perchè, come dimostreremo, c'è una differenza sostanziale tra la mutazione genetica del PCI e le sue origini e ciò che è stata veramente la svolta di cui Palmiro Togliatti è stato protagonista al suo arrivo in Italia alla fine del marzo 1944.

  Innanzitutto c'è da considerare la correlazione internazionale tra la politica di Salerno e la posizione dell'Unione Sovietica di cui Stalin, all'epoca, era il massimo dirigente. I due fatti che caratterizzano questa correlazione sono il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell'URSS e l'incontro di Togliatti con Stalin nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1944, prima della sua partenza per l'Italia.

  E' noto che il punto principale della svolta di Salerno fu la decisione di accettare la collaborazione con il governo Badoglio e coi Savoia e questa decisione fu accettata, alla fine, da tutti i partiti antifascisti, che pure al Congresso di Bari, tenuto agli inizi del 1944, avevano deciso sulla pregiudiziale antimonarchica: non si collabora con un monarca responsabile di una connivenza ventennale col fascismo, dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania nazista, della fuga da Roma l'8 settembre 1943. Eppure, e non è un caso, proprio nel marzo del 1944 l'URSS riconosce il governo Badoglio prima e all'insaputa degli angloamericani che occupavano una parte dell'Italia dove peraltro gli antifascisti operavano.

  Facile porsi la domanda: perchè l'URSS riconosceva il governo italiano presieduto da Badoglio e in che relazione stava quella decisione con ciò che Togliatti e Stalin si erano detti in quella notte del 4 marzo prima della partenza del segretario del PCI per l'Italia? E' a questa domanda che i comunisti critici di Salerno devono rispondere e delle due l'una, o Stalin sbagliava strategia oppure ciò che ha fatto Togliatti a Salerno corrispondeva alla strategia del movimento comunista e alle decisioni del VII congresso dell'Internazionale comunista sulla necessità di creare un fronte antifascista mondiale.

  Qualcuno dei compagni critici, arrampicandosi sugli specchi, prova a distinguere tra la collaborazione con Badoglio - fare il governo per vincere la guerra - e la strategia che era esplicitamente dichiarata assieme a quella scelta. Si trattava della questione Monarchia-Repubblica che sarebbe stata decisa alla fine della guerra da una Assemblea Costituente che avrebbe deliberato anche sulla nuova Carta costituzionale. La scelta di collaborare con Badoglio era dunque correlata a una prospettiva politica di più ampio respiro che comprendeva l'asse strategico con cui il PCI avrebbe affrontato, dopo la caduta del fascismo, i nodi della ricostruzione del paese e del carattere che avrebbe assunto l'Italia post-fascista. Questa fu Salerno e non è possibile confonderla con la mutazione genetica del PCI.


2 - Il 1953 e il cambiamento degli equilibri politici


Per capire meglio le scelte del PCI dopo Salerno bisogna analizzare gli avvenimenti degli anni 45/47 e quelli successi fino al 1953, anno in cui la sconfitta della legge truffa collegata alle elezioni del 7 giugno di quell'anno confermava il ruolo importante del Partito comunista nell'equilibrio politico italiano.

  Innanzitutto occorre fare un bilancio dei risultati ottenuti dal PCI nelle due differenti fasi politiche, quella dopo il 25 aprile e la successiva che segue la sua cacciata dal governo e arriva fino alla vittoria elettorale del 7 giugno del 1953. Questo per evitare che, sovrapponendo gli avvenimenti, si crei una sorta di cortina fumogena che appiattisce i passaggi che invece hanno la loro specificità e vanno compresi nella loro valenza.

  Il periodo che segue il 25 aprile e si estende fine al 1947, anno della rottura dell'unità nazionale, è quello che consente la fondazione della Repubblica e l'approvazione della Costituzione, due obiettivi storici che cambiano il volto dell'Italia e confermano la politica di Salerno. I critici della svolta devono fare i conti con un risultato che mette in crisi i presupposti su cui poggia la loro posizione. La domanda difatti è: Salerno ha consentito o no l'uscita di scena della monarchia e la fondazione di una Repubblica basata su una Costituzione progressista? Era questa la strada da imboccare e che corrispondeva, come si è visto, alla strategia del movimento comunista dopo il VII congresso dell'Internazionale e nella guerra antifascista? Domande retoriche che dovrebbero mettere fine all'eterna polemica di 'sinistra' che certi settori minoritari di comunisti continuano ad alimentare e sostanzialmente ha una matrice di tipo trotskista.

  Dopo il gennaio 1948, data di approvazione della Carta costituzionale da parte dell'Assemblea Costituente, per il PCI si apre un'altra fase. Il partito deve fronteggiare l'offensiva del blocco democristiano a guida americana e vaticana che tende a eliminare quel bastione, composto da milioni di italiani, soprattutto operai e contadini, che rappresentava un ostacolo alla normaliz­zazione del ‘vento del Nord’ che aveva soffiato potentemente dopo il 25 aprile. Le intenzioni delle forze conservatrici che facevano capo alla DC ed erano collegate e subordinate agli Stati Uniti erano di andare fino in fondo nello scontro e prevedevano anche la messa fuori legge del PCI.

  Le elezioni del 18 aprile 1948 furono un banco di prova che consentì di pensare che il progetto di liquidazione del Partito comunista fosse nell'ordine delle opzioni possibili e l'attentato a Togliatti del luglio dello stesso anno ne fu la conferma. Uccidere Togliatti e scatenare una guerra civile dopo la sconfitta elettorale del Blocco del popolo poteva essere la strada per raggiungere l'obiettivo. Ma il PCI aveva un gruppo dirigente consolidato nella lotta clandestina durante il fascismo e nella Resistenza e si era fatto le ossa con la presenza di Togliatti a Mosca dopo l'arresto di Antonio Gramsci. La trappola non scattò, anche se le provocazioni armate contro i comunisti e i socialisti continuarono. L'eccidio di Portella delle ginestre è del 1º maggio 1947 e molti altri atti di repressione politica e giudiziaria si andarono aggingendo nel corso degli anni fino ai processi dei partigiani rei di aver combattuto e colpito i fascisti.

  Battuti sul terreno della resistenza di massa e dalla tenuta delle lotte operaie e contadine e coi risultati elettorali che consentivano la conquista di molte amministrazioni comunali, i democristiani, per superare gli ostacoli, puntano a una riforma elettorale che impedisca la destabilizzazione dei governi centristi determinata dalla forte presenza e iniziativa dei comunisti. E' a questo punto che nasce la proposta di approvare una legge maggioritaria, all'epoca chiamata legge truffa, che alle elezioni politiche del 7 giugno 1953 avrebbe consentito a un’alleanza elettorale che avesse conse­gui­to il 50+1% dei voti di avere il 75% dei seggi. La legge truffa non scattò, il sistema propor­zionale rimase in vigore e la sconfitta indusse Alcide De Gasperi a ritirarsi dalla scena politica.

  L'aria che si respira dopo il 7 giugno del 1953 comincia ad essere diversa. Il PCI non è più l'emissario di Mosca, ma un partito ben radicato nella realtà democratica e di classe e con un rapporto solido col campo socialista e con i movimenti di liberazione nazionale. Strategicamente il Partito comunista mantiene ben chiaro l'asse di riferimento rispetto al movimento comunista internazionale.

  A questo punto però Togliatti pensa che il partito debba fare un passo in avanti nel rapporto con la società e questo passo trova sbocco in un rinnovamento dei quadri del partito le cui caratteristiche dovevano essere più adatte ad agganciare quei settori della società che si andavano avvicinando all'organizzazione e con cui si potessero gestire progetti di trasformazione della società che non fossero direttamente legati al conflitto nel modo con cui si era espresso fino ad allora.

  La sostituzione di Pietro Secchia con Giorgio Amendola alla direzione dell'organizzazione del partito fu il segnale del cambiamento e costituisce ancora oggi materia di discussione. Certamente esisteva una differenza nella formazione dei due dirigenti politici. Uno, Pietro Secchia, di origini popolari e con notevoli capacità organizzative e cospirative, l'altro un dirigente che veniva da una famiglia borghese come quella di Giovanni Amendola, che peraltro aveva pagato con la vita il fatto di non essersi piegato, nonostante fosse un nazionalista, al potere mussoliniano.

  Il partito cambiava faccia? Certamente dirigenti come Edoardo D'Onofrio, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia e altri venivano considerati appartenenti alla vecchia guardia. Fu l'inizio della mutazione genetica e Togliatti ne era il responsabile? Porre le questioni in questo modo è sbagliato perchè bisogna andare a vedere il contesto della linea politica per giudicare il carattere dei cambiamenti. Il neotrotskismo non ci aiuta a valutare le cose. In realtà, con le scelte organizzative, eravamo ancora nel contesto della linea togliattiana.


3 - Il 1956 e i suoi effetti sul PCI


La vera prova della nuova fase è il 1956, quando Kruscev mette sotto accusa la politica di Stalin e gli atti che gli vengono attribuiti come crimini. Per un partito comunista occidentale, come quello italiano, con un seguito di massa e una borghesia pronta ad usare tutti i mezzi nel tentativo di demolirlo, la denuncia di Kruscev crea una condizione nuova che obbliga i comunisti a rispondere di ciò che era successo in Unione Sovietica nel periodo di Stalin. E la risposta doveva essere convincente soprattutto per quelli, iscritti o votanti, che fino ad allora avevano seguito il PCI con coraggio e entusiasmo.

  Con la famosa intervista alla rivista Nuovi Argomenti [1], Togliatti, pur dimostrando poca stima per Kruscev per il modo raffazzonato con cui aveva posto le questioni al XX Congresso del PCUS, non entra nel merito della denuncia, ma cerca di sviluppare un ragionamento generale che, senza rifiutare le questioni specifiche che il segretario dei comunisti sovietici aveva posto, cerca di inquadrare storicamente le vicende legate al modo con cui Stalin aveva gestito il potere. Togliatti non ha il coraggio di contestare, come invece fecero i comunisti cinesi, il giudizio su Stalin e la questione della 'violazione' della democrazia socialista, ma raccoglie le indicazioni generali del segretario del PCUS sulla necessità di un rinnovamento del socialismo e la creazione di nuovi rapporti internazionali che consentissero all'URSS e ai paesi socialisti uno sviluppo in un clima di pace. Su questa linea Togliatti imbastisce la difesa anche di fronte agli italiani, ai militanti del partito e agli elettori.

  Su due cose, in particolare, Togliatti tace: sul fatto che, avendo lavorato a Mosca per molti anni nell'Internazionale comunista, e quindi a contatto con Stalin, non poteva non sapere come erano andate le cose e, in secondo luogo, non inquadrava il processo reale che si era innestato in URSS con il XX Congresso. La parola controrivoluzione non entra nel vocabolario togliattiano.

  Però Togliatti, da grande dirigente qual era, cerca di mettere le cose in modo tale da riuscire a recuperare la storia del movimento comunista dentro il processo di rinnovamento che si auspicava dopo il XX Congresso. In sostanza, dice Togliatti al gruppo dirigente del PCUS, intanto dove eravate all'epoca del 'culto della personalità' dal momento che fino ad oggi avete taciuto e poi, visto che la vostra denuncia riguarda fatti che vengono da lontano, come mai l'Unione Sovietica dal 1924 ad oggi ha fatto passi in avanti giganteschi non solo in economia, ma nelle relazioni internazionali e battendo le armate naziste? Inquadrando così le cose la linea del PCI risultava convicente. Da una parte si manteneva il giudizio storico positivo sulla rivoluzione d'Ottobre e i suoi effetti a livello internazionale e dall'altra si accoglieva l'esigenza di aprire la società sovietica a nuove esperienze di partecipazione dei lavoratori e dei cittadini superando lo stato d'emergenza che aveva caratterizzato per decenni la situazione interna all'URSS. Su esplicita domanda del redattore di 'Nuovi Argomenti', Togliatti chiarisce comunque che il dibattito sulle nuove caratteristiche della società sovietica non implicava la nascita del pluripartitismo che, aggiunge, è una caratteristica specifica della democrazia borghese.

  Il PCI di Togliatti esce dunque relativamente bene dalla prima fase successiva al XX congresso. Il Partito serra le file attorno a una posizione convincente che tiene testa al krusciovismo e dimostra una maturità di fronte agli avvenimenti storici. Ma le parole non bastano per affrontare una situazione che andava degenerando e non a caso, la controrivoluzione ungherese, dopo i fatti di Poznan in Polonia, chiarisce le conseguenze del modo di agire degli apprendisti stregoni che a Mosca guidavano l'avventura kruscioviana e costringe i comunisti a schierarsi.

  Il PCI denuncia senza mezzi termini la controrivoluzione ungherese e il suo carattere internazionale, mentre bande di fascisti a Roma come a Milano assediavano le sedi del partito. I fatti d'Ungheria scuotono il partito e mettono in evidenza che ormai la partita si fa dura. Di fronte alla durezza dello scontro si verificano abbandoni di intellettuali di spicco e nascono i dissensi con gli universitari comunisti che contrastano la versione ufficiale del partito su ciò che sta accadendo. Ma per i 'rinnovatori' la partita dovrà essere rimandata perchè il gruppo dirigente resiste e le defezioni sono marginali.


4 - L'VIII congresso del PCI e la via italiana al socialismo


Per il PCI e per Palmiro Togliatti che ne era il massimo e incontestato dirigente, il XX Congresso diventa l'occasione per rimettere a punto una strategia adeguata a ciò che stava emergendo nel contesto internazionale, ma anche dentro il movimento comunista, rispetto alla sua storia e ai problemi di interpretazione che quella storia poneva.

  L'VIII Congresso del PCI si tenne a Roma dall'8 al 14 dicembre del 1956 e dette la possibilità a Togliatti di definire in modo organico la linea del partito e quella che da allora venne definita 'via italiana al socialismo'. [2]

  Ovviamente il punto di partenza del suo discorso fu la situazione internazionale, rispetto alla quale si ribadiva, in sede congressuale, che l'apertura di Kruscev all'occidente imperialista corrispondeva a una necessità oggettiva per la pace e che la nuova situazione, dovuta al cambiamento dei rapporti di forza, rendeva possibile affermare anche che la guerra era evitabile, cambiando così un presupposto leninista che fino ad allora si era basato sull'inevitabilità del conflitto coll'imperialismo. Su questo punto, come è noto, si sviluppò una forte polemica tra comunisti sovietici e cinesi che sostenevano invece quella che era considerata la posizione leninista: l'imperialismo porta inevitabilmente alla guerra.

  Malauguratamente, Togliatti, nella sua relazione, doveva prendere atto però che mentre si ragionava di nuova fase delle relazioni internazionali e di evitabilità della guerra, inglesi e francesi avevano bombardato Suez e scatenato una guerra con l'Egitto per impedire la nazionalizzazione del canale. L'ottimismo per le tesi di Kruscev fu inevitabilmente ridimensionato, ma il concetto di fondo rimase: la guerra si poteva evitare.

  Questa valutazione apriva le porte a una conseguenza che nel congresso fu oggetto di particolare attenzione. In sostanza si disse che se la situazione internazionale stava cambiando, anche il conflitto politico e di classe subiva delle modificazioni e non solo perchè il XX Congresso aveva evidenziato che nello sviluppo del movimento comunista si erano registrati processi di centralizzazione e di burocratizzazione che andavano superati, ma anche perchè, nel contesto, veniva alla luce anche la possibilità di un'autonomia dei singoli partiti comunisti nella ricerca di una propria via al socialismo nelle nuove condizioni storiche.

  Sulla base di queste considerazioni Togliatti si spinge abbastanza avanti nelle critiche sui risultati del XX Congresso del PCUS, mettendo in evidenza che il processo di rinnovamento non aveva avuto i risultati sperati, a partire dalle democrazie popolari dove la situazione polacca e quella ungherese dimostravano la sostanziale incapacità dei gruppi dirigenti comunisti di gestire le situazioni.

  Quelle sollecitazioni di Togliatti a cambiare una situazione divenuta insostenibile dimostravano però la totale incomprensione di ciò che era accaduto con l'avvento di Kruscev alla segreteria del partito comunista sovietico e le conseguenze che ne erano derivate. La gestione del socialismo reale, così come si era andata configurando dopo la vittoria contro il nazismo e lo scatenamento della guerra fredda da parte dell'imperialismo occidentale a guida americana, aveva imposto scelte che non potevano essere modificate con la criminale denuncia dello stalinismo che aveva invece inferto un colpo mortale alla credibilità del sistema socialista e alle ancora deboli strutture dei paesi socialisti europei e messo in moto un processo controrivoluzionario nella stessa Unione Sovietica. Da lì le metastasi avrebbero raggiunto anche l'Europa occidentale come dimostra la svolta occhettiana nel momento in cui crolla il muro di Berlino.

  Togliatti dunque non solo non aveva capito, o voluto capire, la natura degli avvenimenti del 1956, ma si illudeva che i discorsi sul rinnovamento e lo sviluppo della democrazia potessero frenare la controrivoluzione.

  L'VIII Congresso del PCI servì anche a discutere quella che sarà definita 'via italiana al socialismo'. La messa in discussione del carattere autoritario del sistema stalinista, valutato al di fuori del contesto storico, e l’introduzione del concetto di democrazia socialista come modello astratto comportò la necessità di superare quella ‘doppiezza’ che veniva attribuita ai comunisti italiani e Togliatti proprio in sede congressuale sciolse il dilemma. Per i comunisti italiani non esisteva un dilemma tra riforme o rivoluzione. Il processo che portava alla trasformazione del sistema era stato impostato già nel 1944 e consisteva nell'applicazione dei principi costituzionali e nello sviluppo di una democrazia progressiva collegata ai movimenti di massa.

  Non era una via parlamentare al socialismo, anche se il Parlamento in questo contesto aveva una funzione, ma una capacità del Partito comunista di guidare, attraverso i passaggi individuati, una strategia basata sul binomio movimenti-trasformazioni.

  In questo consisteva il progetto strategico della 'via italiana al socialismo' ed è bene sottolineare, per quelli che appiattiscono le valutazioni sulla storia del PCI, che quella impostazione era ben diversa da ciò che avvenne poi con Berlinguer.


5 - La rottura degli equilibri in Italia. Le lotte, il terrorismo,
il PCI si fa Stato. Berlinguer valica il Rubicone.


Con il memoriale di Yalta, elaborato da Togliatti nell'agosto 1964, nel mese della sua morte, si conclude la sua vicenda umana e politica iniziata dal lontano 1926, dopo l'arresto di Gramsci.

  Gli succede Luigi Longo, autorevole figura di comunista che tenta di barcamenarsi tra una situazione burrascosa in cui il breznevismo, riproposizione solo formale dell'ortodossia comunista, sceglie l'intervento militare in Cecoslovacchia e l'Italia è scossa dal terremoto delle lotte operaie e studentesche del 1968 e dalla fase del terrorismo di Stato. Si arriva così, da un lato alla condanna da parte del PCI dell'intervento sovietico in Cecoslovacchia, che apre la frattura coi sovietici, e dall'altro a una completa stagnazione teorica e politica del partito, finchè l'arrivo di Berlinguer non indica i nuovi orizzonti del 'comunismo' italiano.

  Togliatti, nel definire la 'via italiana al socialismo', aveva tracciato un percorso abbastanza netto. Una democrazia progressiva incarnata dalla Costituzione e un movimento di massa popolare e democratico capace di imporre gli obiettivi con la lotta. Ma proprio quando si apre in Italia la nuova fase in cui parte il '68 studentesco e nelle fabbriche i lavoratori del miracolo economico, Fiat in testa, aprono una nuova stagione di rivendicazioni, il PCI perde la bussola e diventa un partito istituzionale che cerca di mediare le spinte che vengono dal basso, senza una strategia di trasforma­zione. Il contrario di quello che era stato affermato all'VIII Congresso di Roma. Qui sta dunque il punto di crisi della strategia togliattiana e il capovolgimento della linea del Partito comunista.

  Certamente non possiamo dire come la nuova situazione sarebbe stata affrontata se Togliatti fosse stato ancora al timone. Quello che è certo è che i suoi eredi non hanno seguito le indicazioni su cui era stata fondata la 'via italiana al socialismo'. Al movimento studentesco che scuoteva le piazze, le indicazioni del PCI sono apparse lontane e sbiadite, mentre per gli operai si preparava la ricetta di Luciano Lama fatta di compatibilità, di consociativismo e di rinuncia della CGIL a difendere la scala mobile. Il trionfo della linea dell'Eur rappresentava la capitolazione e Lama era un esponente di spicco del PCI.

  Ma il vero e principale punto di crisi strategica del PCI fu la stagione del terrorismo.

  L'Italia era, e rimane, un punto di appoggio strategico dell'imperialismo americano nel Mediterraneo, controllato con la collaborazione di Israele e della NATO. Per questo, di fronte alla crescita del movimento di lotta e della stessa influenza elettorale del PCI, dalla P2 ai servizi americani e italiani viene messa in atto una strategia terroristica che doveva riportare indietro la situazione e bloccare ogni via d'accesso al potere del PCI.

  Piazza Fontana, Bologna, Brescia, Italicus sono le tappe principali di questa strategia e il PCI, invece di individuare le forze reali che stavano dietro il terrorismo, si limita a parlare di forze eversive e si stringe attorno alle altre 'forze democratiche' nella difesa di uno Stato che, attraverso i servizi e i collegamenti internazionali, era responsabile di quello che stava accadendo. Ci domandiamo perchè i responsabili veri degli attentati non sono mai stati individuati? Chi li ha organizzati e protetti?

  Un partito che doveva essere un partito di classe che sapeva individuare i suoi nemici e combatterli diventa un partito istituzionale dentro un sistema corrotto e inquinato.

  A dare un senso strategico a queste scelte ci pensa poi Enrico Berlinguer quando dichiara di sentirsi più sicuro sotto l'ombrello della NATO, quando parla di democrazia in senso assoluto, quando punta a un compromesso storico con la DC dopo i fatti cileni. A mettere in crisi la validità di questa strategia, ironia della sorte, ci pensa il rapimento di Moro avvenuto nei giorni in cui si svolgevano gli incontri tra l'esponente DC e Berlinguer.


6 - Perchè è stato possibile liquidare il PCI?


Se quelli che abbiamo sommariamente descritto sono i passaggi attraversati dal PCI fino alla sua liquidazione, rimane la domanda su come questa sia stata possibile, dal momento che il partito aveva alle spalle una storia importante e una elaborazione politica tra le più avanzate nel movimento comunista. Per rispondere bisogna innanzitutto tenere conto che si è trattato di un processo lungo, che comprendeva più di tre decenni. L'evoluzione è stata lenta e ogni tappa ha determinato una modificazione della cultura e della pratica dei gruppi dirigenti, finchè i punti di riferimento storici si sono andati identificando con l'elaborazione berlingueriana e le scelte consociative del sindacato confederale, la CGIL.

  La trasformazione genetica è avvenuta nel tempo ed è stata condizionata anche dall'entrata del PCI nell'area del sottogoverno e questo ha esercitato una funzione di corruzione dei suoi quadri e dei suoi militanti.

  Al momento della resa dei conti, quando, sotto la spinta emotiva della caduta del muro di Berlino, Occhetto decise che era giunto il momento di liquidare il partito, di fatto si è trovato di fronte a un partito trasformato che non ha saputo reagire. Il Cossuttismo e la vicenda del gruppo Interstampa non erano stati in grado di bloccare la deriva. In primo luogo perchè esisteva nel partito una posizione più che maggioritaria (arrivava al 95% in sede congressuale) e con questo dato oggettivo bisognava fare i conti. Poi perché la minoranza cossuttiana non rappresentava il frutto di una battaglia con basi teoriche e strategiche definite. Si trattava di fatto della posizione di un dirigente che era stato estromesso dalla sua carica nella segreteria da Berlinguer per i legami che aveva coi sovietici. Cossutta non si aspettava quella mossa, ma Berlinguer aveva le idee chiare su come andare avanti e la teorizzazione dell'eurocomunismo ne fu la prova.

  Alla fine del PCI non ha risposto nessuna ripresa del movimento comunista in Italia. Ad essa ha fatto seguito solo una strumentalizzazione elettorale che ha avuto vita breve e ha lasciato sul terreno mucchi di macerie che non sono state ancora rimosse.


P.S. Questi non sono che spunti per una discussione.


Note


[1] www.associazionestalin.it/togliatti_4_nuoviargomenti.html
[2] www.associazionestalin.it/PCI_8_TogliattiVIII.html